Il pendolo della storia sta girando e Brexit ne è la prova. Il liberismo senza regole sta mettendo in luce le abissali disuguaglianze che le persone non sono più disposte a sopportare.
La mancanza della politica che ha lasciato il posto ad una tecnocrazia senza visione e responsabilità che risponde ai dettami di una economia tutta finanziaria, senza più regole. In molti Paesi industrializzati stiamo registrando gli estremi di un sistema che è destinato alla destabilizzazione: da una parte grandi ricchezze, dall’altra, grande povertà. Le disuguaglianze sono diventate inaccettabili dopo che dagli anni venti in poi erano state colmate da politiche di redistribuzione e di crescita economica, insieme ad un sistema di welfare che aveva reso il vecchio continente un modello da imitare per stabilità e benessere.
Il fenomeno dilagante ed insostenibile del lavoro precari e mal pagato, un lavoro sempre più a breve termine e non qualificato sta colpendo la nostra economia, le nostre comunità, la pubblica opinione. E’ un’atmosfera che influenza i cittadini, i lavoratori, gli studenti che nell’attività quotidiana sono portatori di ansie, insicurezza, fino a diventare problema economico e sociale che mina le istituzioni, i valori, cambia il consenso nell’intera società e nella politica. Un fenomeno di alienazione che si trasforma in scetticismo, per arrivare al cinismo distruttivo del “tanto peggio, tanto meglio”.
Nella comunicazione e nella politica il linguaggio inganna la mente, come spesso dice il Prof. Limone, presente oggi come relatore. Occorre (ri)definire le parole da collegare ai concetti di buono e di brutto, di giusto ed ingiusto.
Prendiamo una parola abusata: riforma. Nella sua accezione iniziale era associata al progresso sociale, ad una maggiore uguaglianza, a maggiore giustizia. Oggi riporta al significato di involuzione, regressione. Si procede per slogan: “Privato è bene. Pubblico è male”, format che si sono incuneati nella mente della gente al punto che nessun argomento è migliore, ogni argomentazione resta ininfluente.
Una sorta di travisamento del pensiero, attraverso l’uso propagandistico del linguaggio.
L’istruzione in questo contesto, ha sempre rappresentato lo strumento per abbattere le disuguaglianze e nella tradizione italiana è stata la scuola pubblica della costituzione, quella frequentata dal 94% degli italiani.
Una anomalia si dirà. In tutto il mondo la scuola pubblica convive al 50% con quella privata. E’ un’anomalia positiva che ha portato l’Italia nei paesi più industrializzati del mondo.
La scuola per essere bene comune e diritto di ciascun cittadino, deve rispondere ai bisogni della comunità in un determinato periodo storico, potendo disporre di risorse adeguate per fare una scuola di qualità.
Sbagliato, quindi, ipotizzare modelli omologhi per i diversi Paesi. Si possono, realisticamente, concordare azioni comuni, ma sarebbe opportuno evitare l’omologazione a modelli avulsi dalla storia e dalla tradizione di ognuno di essi.
E’ attraverso il sistema scolastico che si misura il grado di civiltà di un paese e da come è strutturato, si può determinarne la potenzialità di crescita sociale ed economica.
La scuola italiana è definita da principi di carattere costituzionale (garantire a tutti cittadini di frequentarla), da motivazioni di ordine pedagogico (offerta formativa adeguata e ordinamenti validi e significativi), di ordine sociale (dotare la scuola di mezzi e strumenti di collegamento con le dinamiche della vita reale in cui è immersa); con adeguati spazi di libertà, di autonomia e di indipendenza, rappresenta un presidio di democrazia partecipata.
I padri costituenti con la Carta costituzionale hanno introdotto elementi che rappresentano gli anticorpi per evitare nuove derive autoritarie (quella italiana nasce dalle ceneri del fascismo):l’obbligo scolastico, la libertà di insegnamento, quella di apprendimento, la laicità ed il pluralismo della scuola pubblica, la netta distinzione con la scuola privata che in Italia è sostanzialmente scuola confessionale, con il divieto di finanziamenti pubblici per quella privata. Sono questi i tratti caratterizzanti della scuola italiana.
Ha svolto la sua funzione in modo efficace ed equo: è stata ed è ancora, una struttura per la democrazia, con una governance cooperativa che ha fornito una istruzione di qualità basata su tre pilastri ben precisi: libertà di insegnamento, autonomia , indipendenza.
Con la c.d. riforma della buona scuola si agisce in controtendenza e si rischia di aprire le porte della privatizzazione strisciante che invece di abbattere le disuguaglianze le radica, allargando ancora di più le differenze.
In ogni parte del mondo è in atto una spinta continua verso la commercializzazione e la privatizzazione dell’istruzione. Una minaccia al conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile in generale. La scuola, per sua natura persegue altre opportunità.
Non siamo contro il mercato. Abbiamo bisogno del mercato, ma se il fine è lo scopo di lucro, l’istituzione scolastica che valuta tutto sulla base del profitto, aumenta le disuguaglianze sociali, senza considerare che invaderebbe inevitabilmente lo spazio professionale dei docenti a cui dire cosa e come insegnare.
Sono sempre presenti idee del tipo la scuola deve funzionare come un’impresa.
L’efficienza è data dalla governance manageriale. I docenti non hanno bisogno di essere motivati, da alti ideali e da una buona formazione, bensì dalla paura di essere licenziati o di valutazioni fredde e meccaniche.
Nessun sistema educativo può avere successo se i docenti non sono fiduciosi e appassionati, sapendo di poter incidere sulla vita e sul futuro dei giovani.
Occorre investire danaro pubblico sull’istruzione e non si può pensare che sia data al mercato ed ai privati. Ricordiamo il racconto paradigmatico dell’industriale e del suo gelato ai mirtilli.
Tutelare e difendere l’autonomia professionale, trova nei politici avversione e difficoltà, tutti intenti ed ansiosi di lasciare la loro impronta senza rendersi conto che indossare i panni del docente, prescrivendo l’uso di strumenti e metodologie metodologia didattiche, non è compito della politica.
Di recente la polemica sull’uso dei cellulari a scuola affidata sempre al politico di turno che dall’alto delle sue conoscenze pedagogiche decide cosa è bene e cosa è male.
I politici dovrebbero rimanere fuori dalla classe.
La scuola ha liberato risorse, rotto i vincoli di classe, messo in circolo le risorse inutilizzate, ridotto la forbice sociale e le ineguaglianze proprie di una società chiusa, la scuola ha funzionato da ascensore sociale.
Negli anni del miracolo economico la riforma della scuola ha contributo a portare l’Italia nei primi sette paesi più industrializzati del mondo, imponendo il “made in Italy ”, lo stile italiano apprezzato per la creatività, l’innovazione, il gusto.
La scuola ha unito l’Italia dandole quella identità culturale che le mancava, attraverso un’istruzione pubblica di qualità.
La scuola italiana si è ritagliata un ruolo didattico educativo basato sull’importanza delle conoscenze, come base su cui costruire le competenze. Un insegnamento svolto con lo spirito laico del dubbio e della ricerca, per sviluppare quel pensiero critico e libero che ha messo in secondo piano le azioni di tipo tecnocratico per privilegiare un metodo di come studiare, piuttosto che cosa studiare.
La legge del Governo sulla scuola è una riforma che riflette la volontà di ritornare ad una scuola centralistica, eterodiretta da un sistema burocratico di stampo autoritario e verticistico, con il fondato sospetto che vi sia un recondito desiderio di un assoggettamento del sistema scolastico, ai soli fini del consenso politico.
Una riforma deve essere costruita su punti fermi: un sufficiente livello di coinvolgimento del personale che deve dare continuità all’azione educativa, la salvaguardia dei principi di libertà e di indipendenza che in ogni scuola, a qualunque latitudine si trovi, deve essere garantita.
In Europa abbiamo la moneta unica, con tutti i problemi che non è il caso di riprendere, ma non siamo riusciti a dotarci di una Costituzione Europea, progetto definitivamente abbandonato.
Dopo il vento conservatore che si è abbattuto pesantemente sull’Europa, occorrerà riprendere la costruzione di un percorso comune che si prefigga di:
– riconoscere ai docenti la libertà di insegnamento intesa come libertà di pensiero, non condizionata dalle burocrazie e dai Governi;
– garantire azioni in grado di abbattere le disuguaglianze economiche e culturali;
– condurre una lotta seria alla dispersione e all’abbandono scolastico;
– assicurare integrazione e politiche dell’inclusione,
– impegnare i Governi a trovare le risorse per investimenti in istruzione e formazione,
– classificare la spesa per l’istruzione tra gli investimenti e, quindi escluderla dal patto di stabilità.
Ogni buona scuola parte da un bravo insegnante che rimane tale e si migliora se trova un ambiente stimolante, motivazionale, in cui sia possibile sperimentare modelli didattici innovativi, legati al territorio ed all’autonomia della scuola nella sua dimensione collegiale, senza condizionamenti esterni se non quello della rendicontazione sociale a cui ogni scuola è tenuta.