Signor Presidente del Senato, gentili senatrici, onorevoli senatori, ci avviciniamo a voi in punta d i piedi, con il rispetto profondo, non formale, che si deve a quest’Aula, che si deve alla storia di un Paese che trova in alcuni dei suoi luoghi non soltanto un simbolo – cioè qualcosa che tiene insie me – ma anche un elemento di unità profondo. Ci avviciniamo con lo stupore di chi si rende conto della magnificenza e della grandezza non solo di un luogo fisico, ma anche del valore che questo rap presenta nel cuore di una lunga storia, come quella italiana.
Ci avviciniamo, dunque, a voi con lo stupore di chi si rende conto di essere davanti a un pezzo di una storia che viene da una tradizione unica. Ma, contemporaneamente, sappiamo perfettamente che viviamo un tempo di grande difficoltà, di struggent i responsabilità e, di fronte all’ampiezza di questa sfida, abbiamo la necessità di recuperare il coraggio, il gusto e, per qualche aspetto, anche i l piacere di provare a fare dei sogni più grandi risp etto a quelli che abbiamo svolto sino ad oggi e contemporaneamente accompagnarli da una concretezza puntuale, precisa. Riflettevo stamattina sul fatto che io non ho l’età per sedere nel Senato della Repubblica.
Non vorrei iniziare con una citazione colta e straordinaria de lla pur bravissima Gigliola Cinquetti, ma è così: non ho l’età. E fa pensare che oggi davanti a voi, senatrici e senatori, siamo qui non per inseguire u n record anagrafico, non per allungare di una riga il nostr o curriculum vitae , non per toglierci qualche soddisfazione personale: siamo qui – ve lo dobbiamo – per parlarvi un linguaggio di franchezza, vorrei dire al limite della brutalità, nel rispetto della storia a cui ho fatto riferimento. Siamo a chiedervi la fiducia, e oggi chiedere la fi ducia è un gesto controcorrente, e non tanto nel dibattito politico (doveroso, istituzionale, costit uzionalmente previsto). Tuttavia, chiedere la fiduc ia significa oggi provare ad andare controcorrente: si fatica a dare fiducia nel rapporto quotidiano con le persone, con i colleghi di lavoro; le persone ch e stanno fuori da quest’Aula sanno che chiedere la fiducia oggi è sempre più difficile. Non va di moda la richiesta della fiducia.
Chiediamo fiducia a questo Senato.
Ci impegniamo a meritare la fiducia come Governo, perché pensiamo che l’Italia abbia la necessità urgente e indifferibile di recup erare la fiducia come condizione per uscire dalla situazione di crisi in cui ci troviamo. Il nostro è un Paese arrugginito, un Paese impantanato, incatenato da una burocrazia asfissiante, da regole, norme e codicilli che paradossalmente non e liminano l’illegalità: senza dover risalire alle gride manzoniane, l’idea che le norme che si sono s uccedute nel corso degli anni non abbiano prodotto il risultato auspicato è sotto gli occhi d i tutti. Eppure, oggi chiedere la fiducia significa proporre una visione audace, unitaria e per qualche aspetto anche – spero – innovativa, che parte dal linguaggio della franchezza con la quale comunico f in dall’inizio che vorrei essere l’ultimo Presidente del Consiglio a chiedere la fiducia a qu est’Aula. Sono consapevole della portata di questa espressione, e anche del rischio di farla di fronte a senatrici e senatori che certo non meritano per qualità personale il ruolo di ultimi senatori a dar e la fiducia a un Governo, ma è così. Non lo sta chiedendo un Governo: lo sta chiedendo un Paese, l’Italia.
Noi oggi non immaginiamo di essere gli ultimi a chiedervi la fiducia perché abbiamo un pregiudizio su di voi, ma perché abbiamo un giudizio organico s ull’Italia per il quale o siamo nelle condizioni…
Apprezzo che questa dichiarazione abbia suscitato l’entusiasmo del senatore Calderoli, ma alla perentorietà di que sta affermazione corrisponde la consapevolezza che quello che stiamo vivendo è un momento in cui o si ha il coraggio di operare delle scelte radicali e decisive, oppure non perderemo soltanto la relazione tra di noi, ma anche il rapporto con chi da casa continua a pensare che la politica sia una cosa seria, che la politica sia ciò che di più grande ha un Paese, che la politica sia il valore p er il quale vale la pena confrontarsi, discutere, litigare, ma anche per il quale alla fine valga la pena vivere un’esperienza di rispetto degli altri; quella straordinaria esperienza per la quale siamo, a differenza di qualche leader , orgogliosi di essere democratici, siamo orgogliosi di apprezzare le regole del gioco della democrazia.
Certo, più voi sarete capaci di stimolarci, più voi sarete capaci di incalzarci, più voi sarete capaci di raccontarci nel dettaglio come noi possiamo cambiar e, più incisiva sarà l’azione di questo Governo. Tuttavia, non possiamo non partire da un giudizio reale su ciò che sta fuori da queste Aule. Se in questi anni avessimo prestato ai mercati rionali lo stesso ascolto che abbiamo prestato ai mercati finanziari, ci saremmo accorti che la prima richies ta è la richiesta di semplicità, di pace, di chiarezza; è la richiesta di una tregua della polit ica rispetto ai cittadini. L’impressione che invece abbiamo dato è quella di u n’angoscia nel rapporto tra politici e cittadini, per i quali l’idea che oggi è forte nel Paese è che l’Italia abbia già finito tutto il futuro che aveva, che l’Italia abbia esaurito le sue carte e che sia un Paese finito, più che un Paese infinito. Bene, noi abbiamo accelerato e deciso di cambiare l ‘impostazione del Governo nelle forze politiche che lo sostengono perché pensiamo che fuori di qui ci sia un’Italia viva, brillante e curiosa; un’Italia che, nell’aspettarci fuori da questi Palazzi, si vuole bene e che ci tiene a presentarsi bene. Un’Italia che non ci segue per un motivo: perché è avanti a noi. È avanti a noi: siamo noi a doverla rincorrere e doverla recuperare. È l’Italia che forse si sta stancando di aspettarci, e vi propongo, vi proponiamo, come Governo, di fare di tutto per raggiungerla attraverso un pacchetto di riforme che parta e consideri il semestre europeo come la princ ipale opportunità, che affronti prima del semestre europeo le scelte legate alle politiche sul lavoro, sul fisco, sulla pubblica amministrazione, sulla giustizia, che metta al centro il valore della scuo la, ma che parta naturalmente dalle riforme costituzionali, istituzionali ed elettorali, sulle quali si è registrato un accordo che va oltre la maggioranza che sostiene questo Governo, e per il q uale noi non possiamo che dire che gli accordi li rispetteremo nei tempi e nelle modalità prestabi lite. Pensiamo però che si debba partire da un presuppost o. Il presupposto è che eravamo ad un bivio: o si andava alle elezioni, più o meno…
Noi non abbiamo paura di andare alle elezioni. Dico ai senatori del Movimento 5 Stelle, che imparo ad apprezzare in quest’Aula, che sono il segretario di un partito politico che n on ha mai paura di candidarsi alle elezioni: anche dove i sondaggi dicono il contrario, come in Sardegna anche dove c’è difficoltà, noi non abbiamo paura di andare alle el ezioni, e in questo primo anno di vita parlamentare, in cui abbiamo ricevuto da voi presun te lezioni di democrazia, vi segnalo, gentili senatrici ed egregi senatori, che nelle quattro ele zioni regionali che si sono svolte – quelle della Sardegna, della Basilicata e delle Province di Tren to e Bolzano – il Partito Democratico si è sempre presentato e ha sempre vinto. Non posso dire la ste ssa cosa per voi.
Non abbiamo paura di andare alle elezioni. Noi abbi amo nel nostro DNA la volontà e il desiderio di confrontarci, ma il passaggio elettorale che ci avr ebbe atteso in queste ore era un passaggio elettorale nel quale, stante la legge elettorale us cita dalla sentenza della Corte costituzionale, si sarebbe riprodotto uno schema che è quello che avre bbe portato ad un sostanziale Governo di larghe intese. Non vi è chi non veda che non sarebbe stato possibi le per alcuno ottenere la maggioranza necessaria a governare nei due rami del Parlamento senza una m odifica delle regole del gioco, e noi abbiamo proposto, dal primo giorno, che le regole del gioco fossero scritte da tutti, anche da chi prima ha alzato la voce. Pensiamo infatti, pensavamo e pense remo che sia un valore condiviso che dopo vent’anni in cui, prima la sinistra, poi la destra, prima il centrosinistra e poi il centrodestra, qua ndo si è trattato di scrivere le regole costituzionali hanno proceduto a maggioranza – il centrosinistra n el 2001, il centrodestra nel 2006 – con la legge elett orale connessa, che scrivere le regole del gioco insieme sia il valore fondamentale e costitutivo de l rispetto delle istituzioni. Proveremo a farlo, ma in una legislatura alla quale abbiamo allungato l’orizzonte politico. Certo, non quello costituzionale e istituzionale, che è fissato, come è naturale, nel 2018. Arrivare però al 2018 ha un senso soltanto se avvertiamo l’urgenza d a cui sono partito nel mio intervento, che è l’urgenza di un cambiamento radicale per cui, mentr e i tempi della politica sembrano dilatati, le persone che la mattina accompagnano i figli a scuol a non possono permettersi rinvii. Mentre la politica – lasciatevelo dire da un sindaco – da Roma sembra una politica nella quale la dilazione è costante; una politica nella quale si p uò anche rinviare al giorno dopo, si può allungare il tempo della decisione senza fine, si può rimandare l’urgenza dei provvedimenti; mentre fuori da qui questo sembra naturale, quando poi si va nella vita di tutti i giorni, quando si va a parlare con le persone che faticano anche semplicemente a conciliare i propri orari, anche semplicemente a conciliare la propria quotidianità di vita, il senso dell’urgenza, del tempo che non può passare invano, diventa un elemento centrale. Ecco perché noi proponiamo a questo Senato di uscire dal genere letterario che i talk show hanno sostanzialmente sdoganato, un genere letterario per il quale non vi è trasmissione che non parta da un giudizio impietoso sulla situazione italiana, e poi con un servizio di una troupe all’estero che racconta come all’estero invece le cose vanno perfe ttamente bene e tutto sia straordinariamente bello e felice. Ormai è diventato un focus letterario; ormai noi abbiamo come punto di riferi mento il fatto che nelle trasmissioni televisive, nei talk show , fuori da qui, fuori dall’Italia, tutto va bene e da noi tutto va male: non è così. Usciamo dal coro della lamentazione; proviamo a immaginare un percorso concreto in cui la differenza tra sogno e obiettivo – ha detto qualcuno – è una data.
Diamoci delle scadenze e proviamo ad allungare il lavoro di questi anni dando concretamente dei passaggi puntuali. Questo consente di arrivare al 1° luglio – qualcuno dice – avendo fatto i compiti a casa; questo consente di arrivare, cioè, all’appuntamento con il semestre europeo dand o un valore non meramente formale a quell’appuntamento, ma dandogli un valore sostanzia le. Non tedierò la vostra pazienza con un’analisi, che pure sarebbe doverosa (ma non mancheranno altre occasioni), sulla situazione di profondo scon volgimento istituzionale internazionale.
RENZI, presidente del Consiglio dei ministri . Su come il mondo fuori dall’Italia stia cambiando e come paradossalmente questo mondo riduca lo spazio dell’Europa, riduca il margine di potere che l’Europa ha. Non vi tedierò su questo, ma penso di avere il dovere di dire al Senato della Repubblica che se vogliamo immaginare che il semestre europeo sia una cosa seria noi dobbiamo raccontare, spiegare, pensare che tipo di Europa immaginiamo ne lla cornice internazionale che sta mutando. Non possiamo immaginare che il semestre europeo sia semplicemente l’occasione per fare le nomine per le nuove istituzioni. Abbiamo bisogno di raccontare che cosa significhi l’Europa nel mondo che cambia.
RENZI, presidente del Consiglio dei ministri . Questo è il punto centrale del semestre europeo, e non saremo credibili se non riusciremo ad arrivare al semestre europeo avendo sistemato ciò che dobbiamo sistemare noi. Capisco che in quest’Aula, come alla Camera, come n ell’opinione pubblica, ci sia la facile tendenza a considerare l’Europa la madre dei nostri problemi . Vorrei dire non soltanto che per me e per il Governo che ho l’onore di presiedere non è così, ma che nella tradizione europea-europeista sta la parte migliore dell’Italia (Applausi dai Gruppi PD e PI) , che nella tradizione europea-europeista, nei valori di libertà e democrazia sta la certezza che l’Italia ha un futuro e non soltanto un passato. E quando penso a quell’uomo che in un’isoletta immagi nava gli Stati Uniti d’Europa mentre infuriava il conflitto (Applausi dai Gruppi PD e PI) , quando penso a quell’uomo che, in un momento di difficoltà per il nostro Continente e di confronto fratricida, riusciva a intuire, a immaginare, in qualche modo a profetizzare in modo laico una visio ne degli Stati Uniti d’Europa, mi sento orgoglioso di essere appartenete alla storia italia na. Il punto è che mettere a posto le cose di casa nost ra non deriva da un obbligo europeo: non è la signora Merkel o il governatore Draghi a chiedere d i essere seri con il nostro debito pubblico: è il rispetto che dobbiamo ai nostri figli, alle generaz ioni che verranno
è il rispetto che dobbiamo alle persone che verra nno dopo di noi che ci impone di guardare ai conti pubblici in modo diverso da come è stato f atto da chi ha scialacquato nel corso degli ultimi decenni. Questo è il punto centrale. E se noi siamo in condi zione di arrivare al 1° luglio avendo affrontato i temi costituzionali, istituzionali, elettorali, di lavoro, di fisco, di pubblico impiego, di giustizia e impostato un diverso atteggiamento verso la scuola, propongo a questo Senato e alla Camera dei deputati di essere in grado di vivere il semestre e uropeo come l’occasione in cui guidare le istituzioni dell’Europa per sei mesi studiando una proposta affinché nei prossimi vent’anni potremo guidare l’Europa politicamente, in un percorso che riguarda i nostri figli e che è uno dei punti centrali della credibilità delle istituzioni.
Se questo è vero, ho il dovere di entrare nel merit o delle modalità con cui questo atteggiamento deve diventare realtà. Ho anche il dovere di dirvi che la subalternità culturale con la quale, troppo spesso, si è considerata l’Europa come la nostra matrigna è una subalternità culturale della quale possiamo liberarci solo noi. Non possiamo immaginar e che qualcun altro risolva i nostri problemi. Noi viviamo in un momento in cui la «generazione Erasmus», che tra l’altro è rappresentata al Governo, ha conosciuto il sogno degli Stati Uniti d ‘Europa come concretezza, che ha conosciuto l’euro come unica moneta o quasi. Di fronte a questa generazione, noi avvertiamo il bisogno di indicare una prospettiva di futuro e non di vivere di rimpianti e di ricostruzioni fasulle del passato. Propongo a questo Senato di essere la legislatura della svolta. Avrei preferito che questo passaggio fosse stato preceduto da un chiaro mandato elettorale.
Ma sappiamo come sono andate le elezioni. Oggi proponiamo di essere nella condizione di valutare u na scelta politica. Non vi sorprenderà il fatto che in questo Governo sono rappresentati i segretari de i maggiori partiti, perché questo è un Governo politico e noi pensiamo che la parola “politica” non sia una parolaccia. Noi pensiamo di poter andare nelle piazze a dire ch e la politica che noi abbiamo in testa è reale, vera e precisa. Noi pensiamo che non ci sia politica alcuna che non parta dalla centralità della scuola.
Mi piacerebbe che chi ha la presunzione di avere la verità in tasca avesse la possibilità di confrontarsi con le insegnanti delle scuole e le fa miglie nella loro vita di tutti i giorni, perché l’ idea che da questa parte ci sia la casta e dall’altra ci siano i cittadini si è un po’ rovesciata. Lo dico a una parte di questo Parlamento. Chi di noi tutti i giorni ha incontrato cittadini, insegnanti, educatori e mamme sa perfett amente che c’è una bellissima e straordinaria richiesta che è duplice.
Da un lato si chiede di restituire valore sociale all’insegnante, e questo non ha bisogno di alcuna riforma, ma di un cambio di forma mentis
Non ha bisogno di denaro, riforme, commissioni di studio: c’è bisogno del rispetto che si deve a chi quotidianamente va nelle nostre classi e assume su di sé il compito struggente e devastante di essere collaboratore della creazione di una libertà, della famiglia e delle agenzie educative. Il compito di u n insegnante è straordinario. Ci avete mai parlato con gli insegnanti e ascoltato quello che dicono oggi?
Spero che il Presidente del Senato mi consenta di formulare questo invito ai senatori del mio partito : ricordiamoci sempre che svolgiamo una funzione sociale, tesa a recuperare le difficoltà c he stanno incontrando in questo momento i senatori e le senatrici del Gruppo del Movimento 5 Stelle ne i confronti della propria base e dell’opinione pubblica che li sostiene. . Non è facile stare in un partito in cui c’è un capo che dice: «I o non sono democratico». Quindi, vogliamogli bene anche se loro non ne vogliono a noi. Io non ho fretta. Vado avanti.
Parlavo degli insegnanti. Qual è la priorità che questo Paese ha nei confron ti degli insegnanti? Sicuramente lo sa il Ministro dell’istruzione pubblica e dell’università : coinvolgere dal basso in ogni processo di riforma gli operatori della scuola. Non c’è dubbio. Ma c’è una priorità a monte: recuperare quella fiducia, quella credibilità, recuperare quella dimensione pe r cui se qui si fanno le cose, allora nelle scuole si può tornare a credere che l’educazione sia davvero il motore dello sviluppo. Ci sono fior di studi di economisti che dimostrano come un territorio che in veste in capitale umano, in educazione, in istruzione pubblica è un territorio più forte rispe tto agli altri. Da Presidente del Consiglio io entrerò nelle scuole , una volta ottenuta – se così sarà – la fiducia da l Senato e dalla Camera.
Mercoledì mattina, come faccio tutte le settimane, mi recherò in una scuola (la prima sarà un istituto di Treviso, perché ho sc elto di partire dal Nord-Est, mentre la settimana prossima andrò in una scuola del Sud), e lo farò pe rché penso che sia fondamentale che il Governo non stia soltanto a Roma, e quindi mi recherò nelle scuole, come facevo da sindaco, per dare un segnale simbolico, se volete persino banale, per di mostrare che da lì riparte un Paese. Dalla capacità di educare, di tirare via, di tirare fuori (nel sen so latino del termine) nasce la credibilità di un P aese, ma per farlo c’è bisogno della capacità di garantir e una concretezza amministrativa. Con quale credibilità possiamo dire questo se conti nuiamo a tenere gli investimenti nell’edilizia scolastica bloccati da un Patto di stabilità intern o che almeno su questa parte va cambiato subito? Come si può pensare che il Comune, la Provincia abb iano competenza sull’edilizia scolastica senza però avere la possibilità di spendere soldi che son o lì bloccati perché esistono norme che si preoccupano della stabilità burocratica ma non si r endono conto della stabilità delle aule in cui vanno a studiare i nostri figli?
Come è possibile che non ci sia chiarezza su ques to aspetto? Domani scriverò una lettera ai miei colleghi sindaci, oltre 8.000, per chiedere a tutti loro e ai Presidenti delle Province sopravvissuti (Commenti dal Gruppo LN-Aut) di fare il punto della situazione sull’edilizia scolastica, seguendo un be llissimo ragionamento del senatore Renzo Piano. Non so chi di voi ha avuto modo di conoscere le parole, a mio giudizio straordinarie, che Renzo Piano ha pronunciato pochi giorni fa in un’intervista. Piano ha invitato a rammendare i nostri territori, a rammendare le periferie. Credo sia un’ espressione molto bella, che dà il senso di ciò di cui abbiamo bisogno. Noi abbiamo bisogno di interve nire nell’edilizia scolastica dal 15 giugno al 15 settembre, con un programma straordinario – dell’ordine di qualche miliardo di euro, e non di qualche decina di milioni – da attuare sui singoli territori, partendo dalle richieste dei sindaci e intervenendo in modo concreto e puntuale. Ma come? Di fronte alla crisi economica parti dalle scuole? Sì: di fronte alla crisi economica non puoi non partire dalle scuole. Di fronte alla crisi economica partire dalle scuole significa partire, i nnanzitutto, da una tregua educativa con le famiglie e da un intervento nell’edilizia e nella i nfrastrutturazione scolastica su cui, nelle prossim e settimane, vedrete concreti risultati. È chiaro che il tema della scuola è parziale rispet to al grande tema dell’educazione. Si inizia con gl i asili nido. Gli Obiettivi di Lisbona vedono oggi un Paese drammaticamente diviso in due, tra una parte dell’Italia che ha già raggiunto quegli obiet tivi (con alcune città che stanno sopra il 40 per cento) e una parte dell’Italia che veleggia su perc entuali drammatiche. Alcune non arrivano neanche a doppia cifra: mi riferisco al numero dei bambini che frequentano gli asili nido. Non è un tema da addetti ai lavori. È il tema vero nella vita di tutti i giorni. (Applausi dal Gruppo PD) . È il tema che si collega non necessariamente, ma parzialmente, al fatto che abbiamo la condizione di disoccupazione femminile più alta d’E uropa. Ed è inaccettabile in una cornice come quella in cui stiamo vivendo.
È un tema che si collega al fatto che un bambino c he non frequenta l’asilo nido ha un’occasione in meno rispetto a un suo coetaneo di un altro Paese. Però, non vorrei che questo facesse venir meno un g iudizio sulle priorità che riguardano la condizione economica. Metto a verbale che la scuola è il punto di partenza, e intervengo sulle quattro riforme che vi proponiamo, che vi proporrem o nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, e la cui urgenza è l’elemento che detta la scansion e temporale dei prossimi mesi e dei prossimi anni, e anche il cambio che noi abbiamo fatto all’interno del Governo. Cambio che non può in alcun modo oscurare i risulta ti che ha ottenuto il Governo precedente. E fatemi rivolgere un pensiero particolare al Preside nte del Consiglio uscente, l’onorevole Enrico Letta.
Dicevano che al Senato non vi divertivate: invece, vi vedo sereni. Vi garantisco che vi divertirete sempre di più! Dal 2008 al 2013, mentre qualcuno si divertiva, il PIL di questo Paese ha perso 9 punti percentuali. La disoccupazione giovanile è passata dal 21,3 al 4 1,6 per cento. La disoccupazione è passata dal 6,7 per cento al 12,6 per cento, in base all’ultimo dato. Non sono i nume ri di una crisi: sono i numeri di un tracollo. ..
Non si tratta di rispondere semplicemente con dei numeri a numeri. La crisi ha il volto di donne e di uomini, e non di slides . Chi ha avuto modo di conoscere le dinamiche delle c risi aziendali, chi ha stretto la mano al cassintegrato, chi è entrato, perché faceva il sind aco, in una fabbrica o chi ha visto, da parlamentar e e da senatore, e ha ricevuto delegazioni di lavorat rici e di lavoratori sa perfettamente che la crisi non è un numerino. Però questo numero è impietoso. Però questo numero è devastante. Però questo numero impone un cambio radicale delle politiche economiche. Il cambio radicale delle politiche economiche passa innanzitutto da alcuni provvedimenti concreti che, con il ministro Padoan, abbiamo discusso e che approfondiremo nel corso delle prossime settimane. Il primo elemento su cui prendiamo un impegno è lo sblocco totale – non parziale – dei debiti della pubblica amministrazione attraverso un diverso util izzo della Cassa depositi e prestiti. Il secondo elemento che mettiamo immediatamente all ‘ordine del giorno è la costituzione e il sostegno di fondi di garanzia, anche attraverso un rinnovato utilizzo della Cassa depositi e prestiti, per risolvere l’unica reale, importante e fondament ale questione che abbiamo sul tappeto, che è quella delle piccole e medie imprese che non riesco no ad accedere al credito.
Il terzo punto che poniamo immediatamente alla vost ra attenzione – lo faremo nelle prossime settimane – è una riduzione a doppia cifra del cune o fiscale, attraverso misure serie e irreversibili, legate alla revisione della spesa, che porterà nel corso dei primi mesi del primo semestre del 2014 a vedere dei risultati immediati e concreti. Su questi tre impegni siamo nelle condizioni di non offrire parole, ma interventi precisi e puntuali. Basta? No! Non basta (sono il primo a dirlo), e non perché la parte delle regole e della normativa non sia una parte importante. Nessun decreto crea, attraverso le regole, posti di lavoro: al massimo può accadere che faccia allontanare dei posti di la voro (ma questa è un’altra storia). Noi partiremo, entro il mese di marzo, con la discu ssione parlamentare del cosiddetto Piano per il lavoro, che, modificando uno strumento universale a sostegno di chi perde il posto di lavoro, interverrà attraverso nuove regole normative, anche profondamente innovative. Infatti, se non riusciamo a creare nuove assunzioni, il problema de lle garanzie dei nuovi assunti neanche si pone. Immaginiamo però di intervenire in modo strutturale nella capacità di attrarre investimenti in questo Paese, investimenti che negli ultimi anni, purtropp o, in virtù della crisi, sono profondamente diminuiti, arrivando ai 12 miliardi dello scorso an no. C’è un dibattito surreale intorno a questo tema . Sembra che l’interesse nazionale impedisca l’attraz ione degli investimenti. Sembra che, quando un soggetto vuole investire in Italia, questo debba es sere cacciato al grido di «guai allo straniero!». Un Paese vivo, ricco, aperto e curioso non ha paura di attrarre investimenti: li va a cercare e fa di tut to per agevolare l’investimento da parte di soggetti c he vengono dall’esterno. Da sindaco potrei parlarvi della madre di tutte le privatizzazioni: l a privatizzazione del Nuovo Pignone, che negli Novanta ha visto un incredibile aumento delle performance da parte del suo acquirente (gli americani di GE) e che oggi consente di aver moltip licato per 7 i posti di lavoro. L’interesse nazionale non è il lancio di agenzia de l deputato o senatore in cerca di visibilità: l’interesse nazionale è il posto di lavoro che si crea, è una famiglia che riesce a uscire dalla situazione di disoccupazione. L’interesse nazionale che ha questo Paese è quello di migliorare la sua attuale posizione nella classifica internazionale: siamo al penultimo posto nella classifica OCSE – correggetemi se sbaglio – per la capacità di attraz ione, mentre siamo al 126° posto nel « Doing business index » della World Bank. Questo ci porta ad essere perce piti all’esterno solo come un Paese meraviglioso in cui andare in vacanza. Ma c’è un Paese potenzialmente più attrattivo del nostro? C’è un Paese che può coniugare la qualità d el vivere bene con la capacità di tenere in piedi la genialità, l’intuizione, l’innovazione da parte delle lavoratrici e dei lavoratori? Vi sembra possibile che, mentre nel mondo le startup e le grandi aziende innovative, dagli Stati Uniti a Israele, vivono, crescono (in alcuni casi a nche muoiono, perché questo è il destino delle startup ), in una dimensione straordinariamente innovativa, noi siamo invece fermi ad un principio per il quale, tra conferenze dei servizi, soprinten denze e freni burocratici, prima di riuscire a port are a casa un risultato concreto, come quello dell’aper tura di un capannone, viviamo dei tempi che sono biblici? Ma non sentite quanto stride, nella concretezza di tutti i giorni, l’urgenza da cui siamo partiti a fronte invece delle difficoltà che la macchina pubb lica mette nei paletti a chi vuole venire a investire? Occorre un Paese semplice e coraggioso s ul lavoro, un Paese che non abbia paura – lo sottolineo – ad affrontare in modo diverso il rappo rto con la pubblica amministrazione. Mi permetterete di dire – e so che potrà sembrare p ersino provocatorio – che vi sono settori dello Stato che vivono le peripezie della politica con ap parente rispetto, ma con un sostanziale retropensiero: i Governi passano, i dirigenti resta no. Talvolta mi è venuto in mente di pensare che sarebbe meglio il contrario, ma in realtà non è così, sarebbe una forma eccessiva. Credo però che sia civile un Paese che afferma la contestualità tra l’ espressione popolare del Governo del Paese e la struttura dirigente della macchina pubblica.
In altri termini, credo sia arrivato il momento di dire con forza che una politica forte è quella che affida dei tempi certi anche al ruolo de i dirigenti e che non può esistere, fermi e salvi i diritti acquisiti, la possibilità di un dirigente c he rimane a tempo indeterminato e che fa il bello e il cattivo tempo. Non siamo per sottrarre responsabilità ai dirigenti : siamo per dargliele tutte. Vorremmo che la parola accountability trovasse una traduzione in italiano, perché vi son o le responsabilità erariali, quelle penali e quelle civili, però non ve n’è una da mancato raggiungimento degli obiettivi, se non a livello teorico: questa, però, è una sfida di buon senso, che nell’arco di quattro anni può essere vin ta e affrontata se partiamo subito e se abbiamo anche il coraggio – lasciatemelo dire – di far emergere in modo netto, chiaro ed evidente che ogni centesim o speso dalla pubblica amministrazione debba essere visibile on line da parte di tutti. Questo significa non semplicemente il Freedom of Information Act , ma un meccanismo di rivoluzione nel rapporto tra cittadini e pubblica a mministrazione tale per cui il cittadino può verificare giorno dopo giorno ogni gesto che fa il proprio rappresentante. Non è soltanto questo, ovviamente, il processo di r iforma della pubblica amministrazione che presenteremo prima delle elezioni, ma vogliamo anch e a tutti i costi intervenire sul fisco, attraverso l’utilizzo della delega fiscale che il Parlamento h a affidato, che riteniamo debba caratterizzarsi per alcune caratteristiche chiaramente visibili da part e dei cittadini. Riuscire ad inviare a tutti i dipendenti pubblici ed ai pensionati direttamente a casa, magari attraverso uno strumento di tecnologia semplice – visto che il Papa ha detto ch e Internet è un dono di Dio, possiamo smettere di considerarlo come il nostro ostacolo o come un prob lema – la dichiarazione dei redditi precompilata. Si tratta di una proposta concreta e puntuale che nel corso delle consultazioni abbiamo ricevuto e recepito, che può immediatamente mostrare come cambia il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione. Se il fisco smette di essere il nemico e di essere ostile, se smette di essere un fisco che fa paura e diventa uno spauracchio, ma assume i connotati di u na sorta di consulenza che fa al cittadino – salvo poi quando accade che qualcuno davvero commette rea ti o comunque è passibile di sanzioni amministrative, perché allora la repressione dev’es sere durissima – esso assumerà connotati diversi, tali da far uscire i cittadini dal pregiudizio per il quale sembra sempre che chi è famoso e potente comunque la sfanga, mentre chi ha a che fare con un a cartella esattoriale – un milione di errori formali, tanti ve ne sono! – vive il rapporto con l a pubblica amministrazione come un’angoscia. E questo non può che condurci naturalmente verso il quarto e ultimo punto che voglio citare: quello relativo alla giustizia. Abbiamo vissuto 20 anni di scontro ideologico su qu esto tema. Può piacere o meno. Non credo che alcuno, dopo 20 anni, convincerà l’altra parte dell a bontà delle proprie opinioni. Dopo 20 anni credo che le posizioni siano calcificate, siano intangibi li, che nessuno possa convincere l’altro che si è compiuto un errore, o che si è fatto bene. Credo sia arrivato il momento di mettere nel mese d i giugno (sarà compito del Ministro competente) all’attenzione di questo Parlamento un pacchetto organico di revisione della giustizia che non lasci fuori niente. Parto dalla giustizia amministrativa. Siamo un Paes e in cui – lasciatevelo dire da chi costantemente ci batte la testa – lavorano più, negli appalti pub blici, gli avvocati che i muratori.
Negli appalti pubblici non c’è alternativa al ricorso sul controricorso con la sospensiva. Siamo al punto che i tribunali amministrativi regionali disc ettare di tutto. Siamo al punto che un provvedimento di un sindaco (in alcuni casi, anche del Parlamento) è comunque costantemente rimesso in discussione in una corsa ad ostacoli imp ressionante. Ma come possiamo dare certezza del diritto se noi p er primi abbiamo un sistema (sono partito da quello amministrativo) che crea inquietudine non gi à soltanto agli investitori stranieri, ma agli stessi 5 Stelle. Noi invitiamo a riflettere su una possibi le soluzione semplice, evidente, alla portata di tu tti noi. Nel rispetto delle diverse posizioni chiudiamo il disegno di legge Delrio e impediamo di votare il 25 maggio per le Province, ma nella discussione sul Titolo V riapriamo fra di noi la discussione su cosa debbono essere le Province. Mi pare un punt o equilibrato, perché dimostra che noi sul tema delle Province non possiamo perdere il passaggio ch e è aperto davanti a noi. Volete davvero rivotare il 25 maggio per 46 istituzioni provincial i? Chi si assume la responsabilità di dire che questo non è un costo e, soprattutto, non è una per dita di opportunità? Vogliamo tornare all’ennesimo TAR che interviene giudicando illegitt ima l’una o l’altra misura? Esiste lo spazio per chiudere questo passaggio in modo rapido. Il secondo punto sulle riforme è il seguente. Noi v ogliamo sfidare il Parlamento; non consideriamo il Parlamento un inutile orpello. Noi siamo pronti a recuperare, nell’ambito di una cornice condivisa, tutti i miglioramenti possibili. Noi non abbiamo l’ idea di venire a dettare la linea e di aspettare ch e rapidamente si esegua nelle Aule parlamentari. Ma stiamo scherzando? Però, vi chiediamo di farvi carico, insieme a noi, del fatto che i tempi non so no più una variabile indipendente; e che se non iniziamo dalle riforme istituzionali e costituziona li e poi interveniamo nel pacchetto di riforme che vi ho esposto nel corso dell’intervento, noi perdia mo la possibilità di essere considerati credibili n on tanto dai nostri partner europei, ma anche e soprattutto dai nostri concitt adini. Vado alla conclusione. Esistono numerosi provvedime nti, di cui abbiamo discusso in fase di consultazione, che non sono rientrati nell’ambito d i questa relazione programmatica, per scelta. Mi piacerebbe raccontarvi quanto intendiamo investire sulla cultura come elemento identitario. So che c’è una parte tra voi, onorevoli senatori e gentili senatrici, che ritiene che la parola «identità» si a in qualche misura il baluardo contro la parola «integr azione». Non è così. Io credo che l’identità sia la base per l’integrazione. Il contrario di integrazione non è identità: è disintegrazione. Un Paese che non si integra non ha futuro. Ecco per ché, a fronte di un dibattito culturale che ha visto i diritti divenire oggetto di scontro (al pun to che ciascuno di noi ha portato la propria bandierina in tutte le campagne elettorali sul tema dei diritti, a destra come a sinistra, ma poi non si è mai fatto niente), noi immaginiamo, con questo Go verno e con il vostro aiuto, di trovare dei punti di sintesi reali, che permettano a quella bambina che ha dodici anni e che frequenta la quinta elementare…
Quella bambina che è nata nella stessa città in cui è nata la sua compagna di banco, di avere la possibil ità, dopo un ciclo scolastico, di essere considerata italiana, esattamente com’è la sua compagna di banco. Ciascuno di noi ha una propria valutazione; se qual cuno di noi pensa che sarebbe giusto che quella bambina fosse considerata italiana al momento della nascita, ma altri tra di noi pensano che occorra almeno un ciclo scolastico, lo sforzo oggi non è af fermare le proprie ragioni contro gli altri, ma trovare il punto di sintesi possibile, così come su i diritti civili. Oggi una mia amica mi ha scritto: «Se devi approvare una forma di unioni civili che non sia quella che vogliamo noi, allora non approvarla». No, non è così: sui diritti si fa lo sforzo di ascoltarsi, di trovare un punto di sintesi. Questo è un cambio di metodo profondo . Sui diritti si fa lo sforzo di trovare un compromesso anche quando questo compromesso non ci soddisfa del tutto. Ci ascolteremo reciprocamente, ma la credibilità su questo tema sarà il punto di caduta di un’intesa possibile, che già è stata costruita nel corso di questi giorni. Lo vedremo. Sostenere, però, che l’identità è il contrario dell ‘integrazione significa fare a pugni con la realtà, significa prendere a botte il niente. Vorrei che ci mostrassimo reciprocamente le facce d ei nostri ragazzi quando vanno in uno degli eventi che organizzano gli enti territoriali o a vi sitare un museo di notte, quando si rendono conto, cioè, che la cultura è qualcosa con cui si mangia, ossia qualcosa di cui si nutre l’anima. Quando dico che si mangia con la cultura dico che, allora, biso gna anche avere il coraggio di aprirsi agli investimenti privati nella cultura.
Se si dice che è sbagliata la frase che con la cultura non si mangia, bisogna anche avere il coraggio di dire che la cultura deve aprirsi al coinvolgimento degli investimenti privati e creare posti di lavoro. Vorrei, però, mostrare a me stesso e a voi le facce e i volti di chi, in questi anni, ha avuto modo, ad esempio, di vedere un museo di notte, ha avuto modo di farsi interrogare da un’opera d’arte, ha avuto modo di provare ad ascoltare la bellezza dell a musica, non soltanto nelle scuole – dove va portata o riportata in modo diverso – ma anche nell a quotidianità. In una qualsiasi realtà del mondo che non sia l’Ita lia, essere italiani è un dono. In una qualsiasi realtà del mondo che non siano i nostri palazzi dei poteri, essere italiani è un elemento di bellezza che non so quanto salvi il mondo, ma sicuramente sa lva l’ export delle nostre aziende. In un qualsiasi luogo che non sia l’angusta autoreferenzialità del nostro dibattito, i valori della cultura fanno di n oi una superpotenza mondiale. Se noi non siamo nelle condizioni di comprendere ch e è il mondo piatto nel quale viviamo è un mondo che paradossalmente ci offre delle opportunit à senza fine, che possono unire i distretti tecnologici con i beni culturali, che possono unire la capacità di investire sulle nuove generazioni con l’esperienza, la saggezza e la bellezza dei più grandi, se noi non siamo in grado, su questo tema, di essere concretamente operativi, perdiamo un pezz o del nostro patrimonio culturale ed economico. È un pezzo della risposta alla crisi modificare le regole del gioco anche in questi settori.
Non ho parlato, ma non lo posso fare adesso, di com e nel piano per il lavoro che presenteremo a marzo ci sarà una sorta di piano industriale per i singoli settori: sulle energie alternative, intese non semplicemente come il sussidio o l’intervento su un singolo settore, ma come il bisogno di andare a inventarsi nuovi posti di lavoro; sulla chimica ver de, sull’innovazione tecnologica applicata alla ricerca, sugli investimenti veri e profondi che si possono fare contro il dissesto idrogeologico in un Paese in cui abbiamo soldi bloccati e fermi – anche per responsabilità delle pubbliche amministrazioni – che gridano vendetta, non soltant o per ciò che stanno vivendo in queste ore il modenese o l’area di Olbia, ma anche per come in qu esti anni abbiamo dovuto vivere con il fiatone certe emergenze che potevano essere affrontate in m odo molto più semplice. Ma davvero abbiamo ancora soldi fermi sulle casse d i laminazione ed espansione, quando il mondo che sta cambiando rende così semplice intervenire i n questa situazione? Ma davvero in alcune realtà del Paese ancora non sappiamo chi ha il potere di i ntervento sugli argini, per l’eccesso di funzioni tra le Regioni, le Province, i Comuni, le autorità d’ambito? Davvero pensiamo che questi siano temi di serie B, di cui non parlare perché dobbiamo conf rontarci soltanto parlando tra di noi delle nostre realtà quotidiane? Come facciamo a non prendere att o che anche su questo tema c’è bisogno di una svolta reale? Potrei continuare a lungo ma non lo farò. Mi limito a chiudere con l’espressione di un sentimento personale. Ieri, arrivato a Palazzo Chigi, ho scelt o di fare alcune telefonate simboliche, ma non solo simboliche. Ho chiamato due nostri concittadini ita liani che sono da troppo tempo bloccati a Nuova Delhi per una vicenda assolutamente allucinante, pe r la quale garantisco l’impegno personale mio e del Governo.
Ho chiamato una ragazza della mia età: si chiama Lucia, è di Pesaro. In questi giorni sta combattendo per un processo p erché è stata sfregiata in volto dal suo ex fidanzato ed è una de lle persone a cui ho voluto far sentire la vicinanz a di questo Paese. Ho chiamato – so che non vi interessa ma a me sì – un mio amico che ha perso il posto di lavoro . Credo che capire cosa significa incrociare lo sguardo di un papà (per non dire un babbo) che ha p erso il posto di lavoro e rendersi conto che il tuo compito non è quello di star qui ad urlare, ma è cercare di dare delle risposte concrete per cambiare le regole del gioco segni la differenza tr a la sua propaganda, senatore, e la nostra politica. Tuttavia, ho scelto anche e soprattutto di pensare a cosa significhi per un ragazzo che oggi ha più o meno la mia età il fatto che il Governo scelga di d ire che questo è il momento della svolta radicale. Mi sono cioè messo in testa di pensare a cosa possa significare per ciascuno di noi il fatto che non soltanto noi oggi viviamo un momento di cambio del Governo, ma cosa questo cambio del Governo significhi nella vita delle persone. Una signora, s cherzando fino ad un certo punto (forse voleva farmi un complimento), ieri uscendo dalla messa mi ha detto: «Certo, se fai il Presidente del Consiglio tu, lo può fare veramente chiunque».
Lei probabilmente voleva essere carina, non le è venuto granché bene, o forse è la verità. Però ho p ensato che questo è proprio vero, fino in fondo. Io arrivo a questa responsabilità provenendo da un’ esperienza politica innovativa, forte ed autorevole quale quella del Partito Democratico, ne lla quale si è data la possibilità a una generazione di sfidarsi; si è data la possibilità d i provarci. Al mio partito va la mia gratitudine, c ome naturalmente agli altri partiti che compongono la c oalizione, come è doveroso che sia; tuttavia una gratitudine particolare va al mio partito, che in u n certo momento ha consentito di dire: se avete ide e giocatevela; se avete sogni, provate a mettervi in gioco. Oggi noi siamo pieni di persone, di momenti, di vit a, in cui è esattamente l’opposto, in cui ci dicono «no, non si può fare, non si riesce a raggiungere i l risultato». In cui ci dicono praticamente tutti, sempre e comunque, che c’è un blocco, che l’Italia non esce dalla crisi, che il mutuo in banca non te lo danno per acquistare casa, che, mentre fai l’app rendista, non hai neanche la possibilità di avere quei soldi che ti servono per mangiarti una pizza e bere una birra. A questa generazione cosa diciamo noi oggi qui? Noi oggi qui diciamo che l’It alia vuole diventare il luogo delle opportunità. Non credo che ci siano pari opportunità nel fatto c he ci sia la metà di donne nel Governo; l’opportunità – permettetemi la battuta – è dispari , non è pari, ce ne è sola una. Noi abbiamo una sol a occasione: è questa. E noi vi diciamo, guardandovi negli occhi, che se dovessimo perdere, non cercheremmo alibi. Se perderemo questa sfida, la co lpa sarà soltanto mia. Deve finire infatti il tempo in cui chi va nei palazzi del potere, poi, tu tte le volte trova una scusa. Non ci sono più alibi per nessuno e primo per me.
In questo scenario però, lasciatemi concludere sul fatto che questa Italia delle possibilità è un’Ital ia che oggi vede un Governo chiedervi la fiducia sulla base di un cambiamento radicale, immediato e puntuale e che, però, contemporaneamente, offre tut to il meglio di quello che ha. L’idea che il futuro dell’Italia non sia quello di essere il fana lino di coda dell’Europa, che il futuro dell’Italia non sia stare a lamentarsi e piangere dalla mattina all a sera, che il futuro dell’Italia non sia semplicemente raccontarci come le cose vanno male o perché non ci fanno lavorare. Il futuro dell’Italia sta nelle qualità, nel genio, nell’inte lligenza e nella curiosità di ciascuno di noi. Noi siamo assolutamente certi che, mettendo tutti noi stessi in questa sfida, la possibilità di cambiare è reale , concreta e immediata, purché ciascuno di noi viva i l futuro non come un’incognita e purché ciascuno di noi sappia che è il tempo del coraggio e che questo tempo del coraggio non esclude nessuno e non lascia alibi a nessuno.
PRESIDENTE/ Ringrazio il Presidente del Consiglio dei Ministr i. Colleghi, per consentire al Presidente del Consigli o di recarsi alla Camera dei deputati e consegnare il testo delle dichiarazioni programmatiche, la sed uta viene sospesa e riprenderà prima possibile con gli interventi in discussione generale secondo la r ipartizione dei tempi già definita dalla Conferenza dei Capigruppo. A partire dalle ore 20 seguiranno in diretta televi siva la replica del Presidente del Consiglio e le dichiarazioni di voto. Successivamente si procederà alla votazione nominale con appello. La seduta è sospesa.
Il resoconto stenografico del Senato: http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=hotresaula&id=1&mod=1393260530000&part=doc_dc-ressten_rs&parse=no&stampa=si&toc=no